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A. Carpinetti per Corriere della Sera: "I fornitori automotive chiedono la neutralità tecnologica"

 

Condivido le considerazioni che ho espresso per Corriere della Sera - inserto Economia Nord-Ovest del 7 novembre 2022 - in merito alla drammatiche prospettive dell'industria dell'automobile a causa dell'obbligo di interrompere la commercializzazione di motori termici nel 2035.

Alberto Carpinetti | Managing director di ActionGroup 

 

Automotive, il futuro dei fornitori

 

L’economia è penalizzata soprattutto dall’incertezza. Quando molte persone non cambiano l’automobile nel dubbio su quale motorizzazione scegliere, si deve percepire un forte campanello d’allarme. Il quinto Osservatorio sull’andamento del settore automotive realizzato da Adaci, l’Associazione che raccoglie i manager delle funzioni acquisti e supply chain ha evidenziato anche questo fenomeno.

 

Per chi lavora nel settore non si tratta soltanto di una perdita di volumi produttivi, quanto del dubbio esistenziale su quale sarà il futuro dell’industria della mobilità. Nessuno può negare che, dal punto di vista delle attuali conoscenze e tecnologie, la scelta europea di bandire la vendita di motori termici dal 2035 sia irrazionale per diversi ordini di motivi. 

 

Innanzitutto per l’impossibilità di alimentare con energia prodotta da fonti alternative una quantità immensa di veicoli (oggi in Europa ne circolano quasi 270 milioni). Poi per il vincolo di acquistare mezzi decisamente più costosi a cui una parte del mercato non ha la possibilità di accedere senza incentivi pubblici (una Fiat 500 Action elettrica costa il 30% in più della versione a tre cilindri benzina). Inoltre per la necessità di riconvertire una delle più importanti industrie nazionali, che – secondo i dati de Il Corriere - da sola origina in Italia il 15% degli investimenti manifatturieri in ricerca e sviluppo (1,6 miliardi di euro) e coinvolge 2202 aziende e 168.000 famiglie, di cui un terzo in Piemonte, costringendola ad inseguire soluzioni tecnologiche che in altre parti del mondo hanno già trovato realizzazione (il 90% delle ore lavorate su un motore elettrico è oggi svolto nel sud est  asiatico). 

 

Per contro va detto che i cambiamenti epocali dell’economia e del benessere sono stati spesso originati da scelte politiche lungimiranti, talvolta non pienamente comprese ed apprezzate dalla popolazione dei paesi che le hanno proposte (pensiamo ad esempio al piano Marshall dopo la guerra). 

 

Questa volta però sembra proprio che la politica abbia fatto il passo più lungo della gamba.

 

La ricerca Adaci, come del resto molte altre, richiede a gran voce soprattutto la “neutralità tecnologica”. Significa pretendere che chi ci governa definisca gli obiettivi che si vogliono raggiungere, ipotizzi i costi che si è disponibili a sostenere, ma lasci all’industria la capacità e l’inventiva di muoversi in autonomia e con il criterio del libero mercato.

 

Potremmo vedere  motori termici che vengono trasformati in propulsori ad idrogeno, componentistica che non viene eliminata o stravolta, ma adattata a nuovi veicoli. Soprattutto non demonizzeremmo motori diesel che oggi inquinano meno di uno scooter.

 

Le direttive “Euro 7” in fase di emissione, anziché  rispettare questo criterio si limiteranno a dare ossigeno ai costruttori, interrompendo l’aumento esponenziale di vincoli sulle emissioni che le norme precedenti hanno sempre comportato. Ai più pare una retromarcia che, anziché ammettere un errore strategico, blocca ogni opzione di ulteriore sviluppo, congelando lo status quo. 

 

Soprattutto in Piemonte sono state anche le strategie di acquisto che hanno permesso, avendo perso la leadership nella produzione delle vetture, di mantenere quella nella innovazione della componentistica, contrastando con politiche virtuose aumenti di prezzo e carenze nella disponibilità di materiali e componenti.

 

L’industria dell’auto ha dimostrato in questi anni di sapersi adattare alle norme, alle esigenze dei clienti, all’evoluzione tecnologica e alla concorrenza internazionale. Quello che chiede è di essere messa in condizione di lavorare e mantenere competitività per evitare di perdere un patrimonio di conoscenze, valore e posti di lavoro che, se dovesse essere minato anche solo dalla incertezza, nell’interconnesso mondo moderno, sarà impossibile ricostruire in futuro.

 

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