Spesso i commentatori più banali suggeriscono alle aziende di non preoccuparsi troppo delle conseguenze dei dazi sul mercato americano, compensandoli attraverso l'apertura di nuovi canali commerciali. “Come se non le avessimo già provate tutte”, ribattono — non a torto — molti imprenditori.
Eppure, per nostra esperienza, esistono almeno due grandi oceani che non sempre vengono sfruttati appieno. Non utilizziamo questo termine a caso: il riferimento è al concetto di "oceano blu", reso celebre dall’omonimo manuale di strategia commerciale di W. Chan Kim e Renée Mauborgne.
Guardare ai clienti attivi con occhi nuovi
Il primo oceano, incredibile a dirsi, è quello della clientela esistente. Quante volte non conosciamo la reale capacità di acquisto di un cliente per i nostri prodotti e servizi? E quante volte il cliente stesso non sa davvero tutto ciò che potremmo fare per lui?
Relazioni consolidate nel tempo tendono a cristallizzarsi su equilibri antichi, spesso basati sulla fiducia e la consuetudine reciproca. Ma nessuna delle due parti — per reticenza o per mancanza di tempo — ha mai ritenuto opportuno approfondire.
Costruire una scheda scritta con le caratteristiche del cliente, la sua storia, l’evoluzione della relazione, i prodotti e servizi acquistati, l’andamento di volumi e prezzi, insieme alle informazioni raccolte dai vari interlocutori aziendali, è un esercizio che aiuta a capire se tutte le opportunità sono state davvero esplorate. Nonché ad identificare le domande giuste da porre, anche a interlocutori diversi dal decisore principale, per raccogliere le informazioni mancanti.
Un cliente soddisfatto è più propenso ad ampliare il proprio livello di acquisti, piuttosto che cercare soluzioni alternative di cui non ha esperienza diretta. A conferma di questo, una ricerca condotta da McKinsey ed Emarsys (ottobre 2024) mostra che i clienti fedeli acquistano il 64% in più e, nel 31% dei casi, sono disposti a pagare prezzi più elevati.
Uscire dal proprio settore di riferimento
Un altro oceano, spesso poco esplorato soprattutto quando gli affari vanno bene, è quello dei settori merceologici nei quali le nostre tecnologie potrebbero trovare applicazione.
È naturale cercare concorrenti dei nostri clienti a cui proporre le stesse soluzioni. Meno immediato è riflettere su quali mercati alternativi potremmo servire, ponendosi domande sui bisogni, sui volumi e sulle strategie dei concorrenti, partendo dalle nostre capacità operative. In molti casi è possibile identificare almeno uno, se non due o tre settori importanti che non abbiamo mai affrontato ma nei quali potremmo essere vincenti.
Alcuni esempi concreti? Il mondo dei cuscinetti per chi produce anelli torniti. Il packaging di lusso per chi stampa nastro. Le molle in plastica, sempre più richieste da chi cerca soluzioni monomateriale per agevolare lo smaltimento. Il settore delle costruzioni e ristrutturazioni, che richiede costi bassi ma funzionalità complesse, con volumi simili all’automotive. L’aeronautica, per chi lavora su commessa.
Questi sono solo alcuni tra i molti casi che, in oltre vent’anni di attività, abbiamo osservato o contribuito a sviluppare, generando risultati concreti in termini di fatturato e, soprattutto, di nuove marginalità.
Adattarsi ai nuovi contesti settoriali
Naturalmente, le aziende che si affacciano su nuovi mercati devono confrontarsi con sfide specifiche, ad esempio: le collezioni semestrali del settore moda, le certificazioni obbligatorie in ambito aeronautico o alimentare, le normative di prodotto che variano da mercato a mercato.
Non si tratta di operazioni dai risultati immediati, ma già nel corso del primo anno possono emergere segnali concreti di ritorno. A patto che l’approccio sia guidato da umiltà, curiosità, capacità di raccogliere informazioni e pensiero creativo.
Partecipare anche solo come visitatori alle principali fiere internazionali, coinvolgere clienti e fornitori in attività e visite mirate per raccogliere dati e, soprattutto, comprendere i vincoli all’ingresso di ogni settore.
Una volta individuati i mercati su cui concentrare gli sforzi, diventa però essenziale introdurre in azienda le competenze necessarie: solo in questo modo nuove mentalità, approcci, logiche e metodi di lavoro potranno attecchire e trasformarsi in un patrimonio condiviso, solido e duraturo.
Conclusioni
Quando, nel giro di qualche anno, la questione dei dazi sarà solo un ricordo, potremmo ritrovarci con un’azienda più solida, forte di una diversificazione ben costruita, di una crescita sostenuta e di una clientela fidelizzata. Sono proprio questi i fattori immateriali che contribuiscono in modo decisivo alla stabilità e allo sviluppo delle PMI.
Per approfondire un altro aspetto strategico nella gestione dell’impatto dei dazi, leggi anche: Come ridurre l’impatto dei dazi USA agendo sui costi aziendali.
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